In questo momento mi sento confuso. La laurea mi ha portato in dono solo dubbi e timori. La fine di un percorso sicuro e l' inizio della vera strada. In salita. Insicura. Insomma quella che percorrete tutti voi, che mi leggete, essendo la vostra età media un po' superiore alla mia. Ma che dire? La vita è questa. Ma non nego che, appunto, sono confuso.
Ho pensato che un buon modo per capire dove andare è guardare indietro, da dove si viene, e fare il punto su dove si è. Per farlo in maniera piana, ragionata, la cosa migliore è spiegarlo a qualcun altro, e chi meglio di voi?
Ecco. Il 99,99% di quelli che fanno il test d' ingresso a psicologia, in genere, si pensano futuri Freud, Jung o Klein. Molti hanno letto qualcosa del vecchio Sigmund (molti senza capirci un cazzo, i più gettonati Ossessioni e Fobie, perchè fa figo il titolo e L' interpretazione dei sogni, perchè vuoi mettere che bello), tutti si sentono molto sensibili, hanno vaghi deliri di onnipotenza e si sentono pronti a redimere il mondo dalla sofferenza dell' anima.
Di questo 99,99%, il 99,99% di quelli che, come opzione di scelta per il corso di laurea, scelgono "Analisi dei processi cognitivi normali e patologici" lo fa o assolutamente a caso, o perchè sa che, essendo l' opzione meno scelta, è più facile entrare. Io l' ho fatto un po' per entrambi i motivi.
Bene. I primi corsi del primo semestre del primo anno erano i seguenti: Biologia, Psicofisiologia, Psicologia Generale.
E già li forse noi giovani novelli analisti dovevamo capire che le cose sarebbero andate un po diversamente da come ci aspettavamo. Biologia?! Psicofisiologia?!
E poi quella che sembrava avvicinarsi di più ai nostri interessi "Psicologia Generale": una teoria infinita di teorie (scusate il gioco di parole) su percezione, memoria, apprendimento, intelligenza, sviluppo, emozione, che chimavano in causa esperimenti, tempi di reazione, curve normali, curve seriali. Che diavolo c entrava con Freud? Niente! E infatti i professori non mancavano mai l' occasione per sparare bordate contro l' analisi e l' idea che uno psicologo sia automaticamente uno psicoterapeuta.
Insomma, ho studiato psicologia cognitiva. Cioè quella branca della psicologia che si occupa dello studio dei processi mentali attraverso l' analisi dell' informazione e basandosi pesantemente sul modello mente-computer. In qualche modo i processi mentali come software.
E dal solftware passare all hardware è un attimo, ed ecco che si passa come niente alla neuropsicologia cognitiva.
La neuropsicologia si basa essenzialmente sull' idea che ogni funzione abbia una struttura, e che ogni struttura (biologica ed in questo caso particolare cerebrale) esista per svolgere qualche funzione, dato che siamo tutti figli di Darwin e sappiamo che di solito la natura non lascia in giro cose inutili. Tutto questo manda in pensione una vecchia polemica fra funzionalisti e strutturalisti, con buona pace di tutti.
Di fondo l' idea nasce con lo studio delle sindromi neurologiche associate a lesioni cerebrali focali: se tutte le persone con un danno all' area X non sono più in grado di svolgere il compito Y, possiamo desumere che l' area X sia coinvolta nel compito Y. E' molto semplificato, ma l idea di fondo è questa.
Con l' avvento delle neuroimmagini funzionali, quelle cioè in grado di mostrare non solo come il cervello è fatto, ma anche come funziona (mostrando l'aumento del flusso ematico, legato al maggior metabolismo, della aree attive), la prova del coinvolgimento di date aree in date funzioni non si ha più solo negativamente (tramite lo studio delle lesioni), ma anche positivamente: se mentre il soggetto, ad esempio dentro uno scanner di risonanza magnetica, compie un dato compito, si attivano date aree, possiamo supporri che tali aree siano responsabili di quel compito.
Ma non è così facile.
Immaginate di voler studiare quali aree cerebrali sono correlate con la generazione di verbi. Non potete mettere semplicemente una serie di soggetti in macchina e chiedergli di generare dei verbi, infatti in quel caso i risultati della risonanza mostrerebbero non solo le aree legate alla generazione di verbi, ma anche le aree motorie responsabili del movimento del sistema fonatorio, ne consegue che non potreste dire quali aree sono effettivamente legate al compito che vi interessa. Dovreste inventarvi un compito di controllo, in questo caso per esempio una serie di movimenti buccofacciali, e sottrarre le attivazioni correlate a questo compito a quelle del compito sperimentale, sareste così ragionevolmente certi di osservare solo le attivazioni legate alla generazione di verbi.
Ecco. Questo più o meno quello che ho studiato.
Quello che sto facendo è scontrarmi con la mia intelligenza, evidentmente limitata, per trovare un compito di controllo confrontabile con il mio compito sperimentale. Cioè un compito che abbia per i soggetti la stessa difficoltà, poichè se i compiti sono diversi in quanto a difficoltà, non si è certi che dalla sottrazione rimangano le aree correlate al compito sperimentale; le aree attive infatti potrebbero essere legate semplicemente all' impiego di maggiori risorse attentive, proprio perchè il compito è più difficile.
Cosa farò? Ecco, il fatto è che non sono davvero convinto di voler passare tutta la vita a scervellarmi su compiti di controllo, programmi di statistica, regressioni lineari, analisi dei cluster e simili.
Forse dovrei pensare alla riabilitazione dei lesionati cerbrali, ma è una strada che comporta altri cinque anni di studio "a gratisse" (cioè, io pago ma non vengo pagato!). E non mi sembra il caso.
Scusate. Lo so. Era davvero noioso questo post!