lunedì 27 luglio 2009

Stato e processo

In questi giorni mi rendo conto di fare i conti per la prima volta in maniera forte con la morte.
Quando morì mio nonno, il marito di JJ, avevo solo cinque anni, e la morte era un concetto del tutto astratto. Un andarsene senza possibilità di ritorno molto diverso dalla realtà della morte.
In questo si può dire che io sia stato fortunato, in venticinque anni non ho mai avuto occasione di pensare alla morte in maniera approfondita. O meglio, ci ho pensato spesso, ne sono terrorizzato (l' idea che il mio Io, il mio prezioso Io, scompaia un giorno mi provoca crisi di panico ancora oggi), ma non mi ci sono mai dovuto confrontare.
E quello che penso è che la morte è uno stato solo per chi se ne va; per chi resta è un processo. Niente di trascendentale, intendiamoci, Freud l' ha messo nero su bianco poco meno di un secolo fa. E la cultura popolare l ha sempre saputo. Cosa sono infatti i riti del lutto se non un modo di esternalizzare ed in qualche modo oggettivizzare questo processo interiore ?
Il periodo del lutto è qualcosa che la società moderna ha completamente dimenticato, o meglio, presa com è dal negare alla morte qualsiasi ruolo nelle nostre vite, ha deciso di far scomparire. Eppure credo fosse immensamente utile. Perchè tutti sappiamo che il dolore della scomparsa di una persona cara non si esaurisce subito dopo il funerale, o l' inumazione. Perdura, molto a lungo, ma a fasi alterne.
Voglio dire, non è che ho passato gli ultimi sei giorni a piangere. Sarei falso a dirlo. Ho riso, scherzato con gli amici ed i familiari. Letto, guardato film. Giocato al computer. Insomma ho condotto una vita normale. Ma certi momenti mi fermavo, e pensavo che quella data cosa non avrei potuta raccontarla a JJ, che alle sei non le avrei potuto fare la consueta telefonata serale. Insomma il pensiero della sua perdita non è stato costante; a sprazzi mi sono reso conto che la mia vita dovrà, giocoforza, fare a meno della sua presenza.
Per questo ai tanti amici (e li ringrazio per questo) che in questi giorni mi chimano per chiedere "come stai ?", non so che dire. Bene ? Male ? Dipende.
Dipende dai punti di vista, dipende dai monenti, dipende dall' interlocutore. Dipende.

giovedì 23 luglio 2009

La perdita, la sofferenza e le regole di esibizione

E' successo solo martedì sera, ma mi sembra sia passato un mese. Forse perchè in questi giorni mi è capitato di fare un sacco di cose.
E' strano come una perdita del genere cambi il senso del tempo. I pensieri girano e girano come un mototere in procinto di grippare. Ti aspetti che il mondo intero, persino il fluire del giorno e della notte compartecipino alla cosa.
E invece esci di casa, aspetti l autobus e ti rendi conto che per il mondo, in maniera abbastanza ovvia, non è cambiagto niente. I tram passano, la gente va al lavoro.
Ed ognuno prosegue nelle sue attività. Sai che c è qualcuno, qualcuno a te molto caro, che non lo farà più, ma tutti lo fanno. Compreso te.
Vedi la ragazza che frequenti prima che parta, perchè sai che per un po non ne avrai occasione. Magari ci fai anche l' amore. Tutto prosegue, tutto va avanti. Anche se la sansazione che hai è che tutto dovrebbe fermarsi, e piangere un po' insieme a te.
E' strano vedere come ognuno affronta la sofferenza in maniera diversa. Chi piange ogni tre per due e chi non può fare a meno di fare battute macabre (quest ultimo sono io).
La gente crede forse che non ti importi, che la perdita ti passi sopra, che in fondo tu non sia così dispiaciuto, così triste. Solo perchè la lacrime si rifiutano pervicacemente di farsi un giretto dagli occhi al mento. Ma non è così. Ogni risata, ogni battuta è una lacrima. E mi spiace per chi non riesce a capirlo. E' così che io affronto il dolore, non conosco altro modo che questo.
E che fastidio, in verità, mi danno le troppe lacrime. L' impressione che ho è che spesso siano un modo per pisciare via il dolore dagli occhi.
La stessa differenza che c è fra chi piscia dopo ogni media e chi aspetta di essere a casa, dopo un paio di litri di bionda, per pisciare fuori tutto assieme, con calma, nel suo bagno, e far le cose per benino.
Anche perchè ci sono due ruoli in questo caso: o si piange o si consola. Chi piange non può consolare. Allora meglio lasciar piangere chi piange e cercare di fare bene il ruolo di chi consola, anche se così a te non ti consola nessuno.
Sono solo diverse regole di esibizione delle emozioni.

martedì 14 luglio 2009

Lettera e riflessione...

Avviso: la lettera che segue è dedicata ad un mio caro amico. I più indovineranno di chi si tratta senza troppi problemi, se siete tipi facili allo scandalo, prego passare oltre.

Caro Amico,
è tanto che ci conosciamo, tu ed io. Una vita intera, direi. E siamo stati sempre assieme io e te. Sappiamo tutto l' uno dell' altro, abbiamo condiviso ogni momento. Insieme abbiamo passato i bui anni dell' adolescenza, in cui c' eravamo solo io e te, per approdare uniti come sempre allo splendore della maturità che ha visto, con alterne fortune, partecipare ai nostri simpatici giochi alcune amiche.
Lo sai, farei tutto, e tanto ho già fatto, per te. Per te esco, vado a ballare, mi intrattengo, per te a volte ho bevuto, non troppo perchè a te l' alcol da subito alla testa.
Eppure, caro Amico, a volte ho l' impressione di non capirti fino in fondo. A volte ho l' impressione non solo che tu non sia esattamente una cima, ma che addirittura mi remi contro.
Sappiamo entrambi che un certo numero di cazzate (e quando mai vocabolo fu più azzeccato) che ho fatto nella vita sono state per gran parte responsabilità tua.
Perchè tu sei fatto così, hai una capacità di ragionamento limitata, poca voglia di proiettarti nel futuro, poco interesse per le conseguenze dei tuoi desideri.
Ma vedi, caro Amico, io continuo pur sempre a darti retta, e da ultimo, lo ammetto, i tuoi consigli sono stati preziosi. Ma non sempre.
Vedi, tu lo sapevi che ieri sera ero stanco, che non ero dell' umore adatto (come saranno andate le analisi? riuscirò a partire con l' esperimento? Beppe Grillo diventerà davvero segretario del PD?), che non ero in vena, diciamo, per una festicciola. Ed anche lei, Amico caro, era titubante, te ne sarai accorto.
A casa c' era non solo la badante, ma anche il fratellino, e lei non era entusiasta dell' idea. Nonostante questo, Amico mio, sentivo che tu tiravi [sic!] in una certa direzione, e ti ho assecondato. Ho insistito. E lei è salita. E tutto sembrava andare più che bene.
E allora spiegami, Amico caro, senza rancore te lo chiedo, perchè ad un certo punto hai perso interesse per la cosa? Perchè ti sei assentato, perso nei tuoi pensieri, e senza più alcuna voglia di socializzare, cosa che per altro di solito adori fare?
Ma soprattutto, mio carissimo Amico, ma non potevi pensarci prima? Pensa: io e te ci saremmo risparmiati la fatica dell' insistenza per farla salire, una figura di merda, ed avremmo guadagnato per lo meno un oretta di sonno in più!
Questo ti volevo dire: la prossima volta, prima di chiedermi qualcosa, pensaci meglio.
Con affetto ti abbraccio (cioè, per dire, che sarebbe esagerato) e resto il tuo fedele amico
Belphagor






RIFLESSIONE COL FRATELLINO A CASA:

Invidio (in senso buono, sia chiaro) l' attuale storia d' amore che sta vivendo mio fratello. E non tanto perchè lei sia una bella ragazza (lo è) o perchè sono molto innamorati (lo sono), ma per ciò che li ha portati insieme. Cioè la ferrea ed adamantina fedeltà di mio fratello al suo sogno di conquistarla. Un anno di pene e patimenti, sopportati con stoica determinazione, per arrivare a ciò che ha ora, e che si merita assolutamente. Mio fratello, che non ha mai letto Kundera, che non ascolta i Cure, che non sa cosa sia una poesia d' amore, è cento milioni di volte più romantico di me, con i miei ammennicoli da romantico, i miei libri di Kundera, i miei Cure (scusa Robert) e le mie poesie d' amore. Mi rendo conto guardandolo, e guardando con lui un filmetto d' amore adolescienziale (che per altro è molto ben fatto e vi consiglio di cuore: "Adventureland") che dei due è lui quello che crede nell' amore, quello che benchè una biondina un sacco carina (mi viene in mente un espressione americana non molto fine che recita "a fucking A") lo vorrebbe mangiare, rimane fedele alla sua ragazza ed al suo sogno, quello che si strugge per la lontananza, quello che ama, forse con la A maiuscola (per quanto, è ovvio, la sua età lo consenta). Io se fossi stato in lui alla biondina avrei ceduto al minimo accenno.
Non so perchè, credo in parte sia colpa del mio profondo senso di inadeguatezza, quello che mi porta a stravedere per qualsiasi donna mostri interesse per me, perchè a volte mi sembra un miracolo che una donna provi interesse per me.
"O forse non è qui il problema, e ognuno vive dentro i suoi egoismi, vestiti di sofismi", cantava il Guccio in "Canzone di Notte n.2", e quello che cerco di fare è nascondere una semplice ed anche abbastanza prosaica debolezza della carne dietro un velo di giustificazioni da psicologia ingenua.
O forse è il caldo, o forse è la sera sbagliata.
Vallo a sapere.

sabato 4 luglio 2009

Giovanni Lindo Ferretti


La serata non è delle migliori. Sono stanco, stanchissimo. Ha piovuto fino alle sei del pomeriggio, fa un caldo umido e l' aria è appiccicosa, sembra di nuotare più che camminare. A Forte Antenne, Villa Ada, devo arrivarci a piedi, perché con i mezzi mi perderei. Il biglietto costa 13 euro, non tantissimo, ma neanche una sciocchezza, per me che al momento sono scannato. Arrivo alle 21:30, il concerto inizierà tra un ora, mi tocca pure aspettare.
Mi siedo in terza fila, bello vicino al palco. Mi annoio un po', sono venuto da solo.
Sul palco quattro sedie. Scommetto su una fisarmonica ed un violino, forse anche una chitarra.
Mi annoio.
Poi tutto cambia. Giovanni Lindo sale sul palco, e tutto cambia. E' alto e magro, sgraziato, dinoccolato. Buffo, direi, quasi più ora di quando era il leader dei CCCP; non è un uomo che l' età ha reso più affascinante.



Averei quasi vinto la mia scommessa. Assieme a lui un fisarmonicista ed un violinista, più una seconda voce, un tenore che vedresti bene ad una festa popolare, a cantare canzoni tradizionali.
La musica comincia, e per due ore mi scordo di tutto. Come sempre l' impressione, nel sentirlo cantare, è che qualcuno gli abbia sostituito la trachea con una canna d' organo. Legge, canta, recita salmodie, grida, si alza, si rimette seduto. E non puoi staccargli gli occhi di dosso. La musica è assieme sacra e profana, sensuale e cerebrale. E' come una festa di paese elettrificata, un canto sacro divenuto musica elettronica. E' una messa, una festa, uno spettacolo, una dichiarazione di fede. Il pubblico è rapito, alla fine di alcuni pezzi esplode in un applauso liberatorio, altre volte può solo restare in silenzio a pensare, a riflettere, su ciò che ha appena sentito.
Nei suoi pezzi celebra la vita e la morte, il continuo fluire delle stagioni e dei tempi della natura, un canto che cresce sommessamente, i suoi Appennini, la sua fede assieme semplice e complicata, popolare ed alta.
E ti aspetti che uno così stia sulle sue, si ritiri. E invece si concede al suo pubblico sempre sorridente ed ironico, scusandosi per le sue dimenticanze, poiché è l' unico concerto che farà quest estate ed è "appena sceso dalla montagna". Sorride, si sporge, sembra sempre cercare qualcuno tra il pubblico.
Alla fine del concerto qualcuno gli lancia delle rose sul palco. Le raccoglie con un sorriso, le stringe, sembra veramente soddisfatto. Poi ci regala un bis, quasi meglio del concerto stesso, e canta "Amandoti" come se fosse la cosa più bella che abbia mai scritto (e forse lo è).
Il concerto si chiude con la litania/ritornello "per ultimo non ultimo li polverizzaerà, per ultimo non ultimo li polverizzerà"; la voce sfuma lentamente, così gli strumenti, il palco resta vuoto.
Ma resta piena la sensazione di aver visto uno dei pochi artisti, nel senso più pieno del termine, della musica italiana, uno dei pochi veramente carismatici, in un panorama così piatto. Uno che è punk adesso tanto quanto nell' 82, ma con altre forme, altri contenuti. Uno che, a sentirlo parlare, sembra un Nietzsche che ha incontrato la fede. Inquieto e sereno.